Le poche volte che aveva accennato all’argomento sicurezza era stato per dire che le scorte non salvano la vita ma ne mettono in pericolo altre e che, in ogni caso, non riteneva di essere così importante da essere ucciso…

Salvatore Mugno, Una toga amara. Giangiacomo Ciaccio Montalto la tenacia e la solitudine

Nasce a Milano da famiglia trapanese, Giangiacomo Ciaccio Montalto torna nella sua terra d’origine e a neanche 30 anni, quando diventa Sostituto Procuratore. Qui, la sua vita inizia ad incrociarsi con quella della famiglia Minore: Antonino, Calogero, Giuseppe e Giacomo, 4 fratelli tra i più potenti della provincia. Più volte il lavoro del magistrato mette i bastoni fra le ruote al clan trapanese, che a quel tempo poteva vantare anche il sostegno dei sanguinari Corleonesi.

Le indagini di Montalto analizzavano i profitti mafiosi a Trapani, in particolare si era occupato del traffico di droga e le connessioni politico-mafiose che riguardavano anche accordi con la massoneria. Indagini delicate, non solo per le tematiche, ma anche per il luogo dove operava. A Trapani, infatti, fino a 30 anni fa l'esistenza della mafia era praticamente negata.

Cosa Nostra provò a scoraggiare il lavoro di Ciaccio Montalto prima con intimidazioni e  soprattutto ostacolando il suo lavoro: famose le assoluzioni per insufficienza di prove che costellarono la carriera del procuratore.  Poi passarono alle minacce, come il disegno di una croce nera sul cofano della propria auto, ma rifiutò la protezione personale.

Ciaccio Montalto aveva scoperto gli interessi della mafia siciliana nelle terre toscane, ma era anche riuscito anche a mettere mano su alcuni beni mafiosi grazie anche all’entrata in vigore, alla fine del 1982, della legge Rognoni-La Torre sul sequestro e la confisca dei beni alla mafia.

Dopo aver scoperto gli interessi economici della mafia in Toscana, Montalto chiede il trasferimento alla Procura di Firenze, ma 25 gennaio 1983 il magistrato Giacomo Ciaccio Montalto è vittima di un attentato mafioso a Valderice nel Trapanese. La sua condanna a morte è decisa dal clan Riina. Qualche tempo prima infatti, il magistrato aveva emesso un mandato di cattura nei confronti dell'anziano Giacomo Riina. Il giorno del suo omicidio, 3 uomini armati di mitraglietta approfittano del fatto che il giudice fosse privo di scorta e a bordo della sua auto non blindata. Ciaccio Montalto non aveva ancora 42 anni, lasciò la moglie Marisa La Torre, anch’essa trapanese, e le loro tre figlie Maria Irene, Elena e Silvia.

Nel 1995 le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia hanno fatto luce su quello che da tempo già si sapeva e hanno consentito l’individuazione dei veri responsabili dell’omicidio. I giudici hanno rinviato a giudizio i boss mafiosi Salvatore Riina, Mariano Agate, Mariano Asaro (ritenuto l’esecutore materiale) e l’avvocato massone Antonio Messina. Sulla base delle indagini le accuse mosse sono quelle di aver ordinato il delitto perché l'imminente trasferimento del magistrato alla Procura di Firenze avrebbe minacciato gli interessi mafiosi in Toscana.

Approfodimenti

Ricordo del giudice Mario D’Angelo

Ciaccio Montalto era siciliano nell’anima e in tutto il suo essere. Amava profondamente questa terra e tutto ciò che di positivo vi si trova pur avendo piena consapevolezza che senza l’affrancazione dal giogo della mafia e dalle incrostazioni di tanti poteri più o meno occulti non sarebbe stata mai possibile una vera rinascita.
Non si può ricordare Giangiacomo Ciaccio Montalto senza far cenno ai molti suoi interessi culturali, che con tanta forza manifestava avendo una speciale capacità di coinvolgimento e di trasmettere agli altri i suoi entusiasmi: la passione per certi scrittori, da Eco, allora poco famoso, a Tomasi di Lampedusa, a Marquez; la sua venerazione per Beethoven, l’amore per la lirica, per Bellini, quello affettuoso per Verdi insolitamente collegato ad un notevole apprezzamento per Wagner, le predilezioni per alcuni interpreti da quelli famosi quali Toscanini, Cortot, Richter, Ghilels, la amatissima Callas, ad altri quali Pollini e Daniel Rivera, percepiti subito come grandi da Giacomo con straordinaria sensibilità e consacrati tali negli anni successivi alla sua morte, le passioni più popolari per la canzone napoletana d’autore, per le nostre tradizioni gastronomiche, per il mare che solcò facendo viaggi ardimentosi pur quando all’inizio della sua esperienza nautica, aveva una pratica limitata.

Da sapere

 

- Molto stimato dai suoi colleghi, il suo lavoro ha cambiato il modo di approcciare alle tematiche mafiose da parte degli addetti ai lavori
- Giacomo Ciaccio è considerato un precursore dell’antimafia giudiziaria

Da leggere

Da vedere

 

- Mafia Dossier 1983 - TG2 Dossier