Classe 1952, originario di Canicattì, uomo mite e religioso, magistrato appassionato. Negli anni Ottanta, come giudice del tribunale di Agrigento, mette in ginocchio la “stidda” (associazione mafiosa che, secondo i magistrati, si opponeva a Cosa Nostra), applicando i metodi investigativi di Giovanni Falcone. 

Dopo i successi scolastici e l'impegno sociale - sin da ragazzino aderisce all’Azione Cattolica - Rosario Livatino si laurea cum laude in  Giurisprudenza all’Università di Palermo e qualche anno dopo si classifica tra i primi in graduatoria nel concorso per entrare nella magistratura italiana, e gli viene quindi attribuito il tribunale di Caltanisetta. La carriera di Rosario sembra inarrestabile, già nel 1979 infatti, diventa Sostituto Procuratore al tribunale di Agrigento e poi Giudice nel 1989.

Durante numerosi eventi pubblici, Livatino si è sempre soffermato sul tema della giustizia e sul voler delineare il ruolo del giudice nella società odierna

il magistrato deve essere dotato di una forte etica, apolitico, autonomo e indipendente, poco incline alle influenze,  sempre pronto al dialogo e rispettoso di tutte le figure coinvolte nei casi, non ultima la persona da giudicare. 

Fin dagli anni ‘80, inizia ad occuparsi delle indagini di criminalità mafiosa e sulle tematiche di tangenti e corruzione. In particolare, il suo lavoro si focalizza sulle cooperative giovanili di Porto Empedocle e sui finanziamenti ricevuti dalla Regione Siciliana. Inoltre, grazie ad una sua intuizione, la Procura di Agrigento ha aperto un’inchiesta su un movimento di fatture false che alcuni imprenditori catanesi ottenevano in tutta la Sicilia da subappalti per opere mai eseguite. Le sue sentenze sono di ampio raggio di osservazione: dai dati più minuti della vita quotidiana di un indagato di mafia, fino al movimento di denaro.

 

 

In quello stesso periodo, Livatino si occupa di una grossa indagine sulla mafia agrigentina, che sfocerà nel maxi-processo tenutosi nel bunker di Villaseta. All’interno di questa inchiesta, Livatino ha intervistato diversi politici del territorio agrigentino in merito a loro presunti rapporti con esponenti mafiosi locali. È stato un personaggio importante per la sconfitta di quella che è stata definita la Tangentopoli Siciliana, applicando tra i primi, in ambito giuridico, la confisca dei beni mafiosi.

La vita di Rosario viene stroncata il 21 settembre 1990 sulla Caltanissetta-Agrigento. Rosario si sta recando in tribunale senza scorta, quando 4 sicari assoldati dalla Stidda agrigentina - organizzazione mafiosa, storicamente in contrasto con Cosa Nostra - urtano la sua auto e lo conducono fuori strada. Nonostante il tentativo di fuga viene rincorso e ucciso con un colpo di pistola in faccia.  Grazie alla testimonianza di Pietro Nava sono stati individuati i mandanti dell'omicidio e condannati all'ergastolo nel 1992 da parte della Corte d'Assise di Caltanissetta.

Approfondimenti

Rosario Angelo Livatino, il ragazzo con la toga

La storia di Rosario viene ricordata nel libro di Nando dalla Chiesa, Il giudice ragazzino.
La su figura è anche ricordata nell’omonimo film del 1994 del regista Alessandro Di Robilant - disponibile su RaiPlay

Nel 2016 esce il documentario Il giudice di Canicattì - Rosario Livatino, il coraggio e la tenacia di Davide Lorenzano, con la voce di Giulio Scarpati che a sua volta aveva interpretarto il personaggio di Rosario nel film del 1994 . Nel documentario ci si sofferma sulla personalità del magistrato, rivelando inediti sulla sua vita.

Nel 1993 il vescovo di Agrigento, Carmelo Ferraro, dà inizio al processo di beatificazione di Rosario. Nel 2006 è stato realizzato il documentario “La luce verticale” per promuovere la causa di beatificazione. Beatificazione che avviene il 9 maggio 2021 nella cattedrale di Agrigento. Livatino è il primo magistrato beato nella storia della Chiesa cattolica.